Prendi una valigia da ventitré chili e mettici tutta la tua vita dentro. Seleziona bene cosa è importante e cosa no. Porta solo ciò che è strettamente utile: il computer, i vestiti e tutti quei documenti che servono a provare che esisti; perché andrai in una nazione dove, della tua esistenza, non importa niente a nessuno. I ricordi e il tuo passato li devi lasciare indietro. Di tanto in tanto ti sarà permesso di tornare a visitarli, ma solo per qualche giorno nei weekend liberi. Al massimo porta qualche foto, per non dimenticare chi sei. Ricorda che la valigia la dovrai trascinare per molti anni da un posto all’altro, quindi deve essere leggera. Per un po’ di tempo non avrai una dimora fissa, la dovrai cercare di continuo e, se sei poco fortunato, dovrai cambiare nazione un paio di volte. Intorno a te aspettati il vuoto. Chi come te ha già fatto il salto non sarà li ad aiutarti. Con il passare del tempo le difficoltà della vita induriscono le persone: pretenderanno che tu te la cavi come hanno dovuto fare loro. E gli altri? Gli amici e i conoscenti che hai lasciato a casa ti considereranno un fortunato, ti invidieranno; perché chi non ha mai fatto il salto che stai per fare tu non se le immagina le difficoltà che dovrai superare, e penserà che all’estero è tutto più facile. Chi non ha mai sbattuto il viso contro porte chiuse non saprà mai cosa si prova. E tu di porte chiuse ne hai conosciute a volontà.
Iniziamo la settimana con l'intervista all'autrice della settimana: Sara Wood con Io ti vedo, edito dalla Leone Editore.
- Ciao Sara, grazie per aver accettato l'intervista. Partiamo subito con una domanda a bruciapelo, come mai hai scelto l'utilizzo di uno pseudonimo?
Ciao e grazie a te per lo spazio che mi stai dedicando!
Semplice: per separare la mia vita privata, dalla mia vita di scrittrice.
Sara Wood è solo un mezzo, una voce per comunicare.
- Come donna quali sono gli aggettivi che ti rappresentano?
Determinata e tenace: quando mi prefiggo un obiettivo sono come un treno, vado avanti, costi quel che costi ma sempre nel rispetto degli altri.
E anche solitaria. Ho sempre vissuto in città molto popolose e caotiche: Dubai, Milano e ora Londra, in cui abitano ben 12 milioni di persone - molte volte sembra di essere parte di un grande formicaio – e io spesso sento la necessità di stare in disparte, lontano da tutti, preferibilmente in un parco circondata da alberi e uccelli.
- Nel tuo libro hai parlato comunque di argomenti forti e delicati al tempo stesso, dalla depressione, alla solitudine, alla discriminazione razziale. Come mai hai scelto di affrontarli?
Io ti vedo è nata prima come idea, poi come libro.
L'idea è nata mentre guidavo su un’autostrada a Doha (in Qatar). Ero reduce da un incidente e ricordo che in quel periodo mi sentivo molto sola, soprattutto perché la mia famiglia era lontana, in Italia…praticamente su un “altro pianeta”.
Mentre guidavo, meditavo sul fatto che volevo, anzi dovevo (!), scrivere un romanzo che parlasse di persone costrette a emigrare, esattamente come me. Se avessi avuto un’alternativa sarei rimasta in Italia, posso dire con certezza che dopo aver vissuto in sei nazioni diverse, il mio Paese d’origine è l’unico in cui mi sento davvero a casa.
Mentre nella mia testa prendeva forma l’idea di questo libro, mi sono accorta che c’erano molti altri temi da trattare, oltre quello dell’expat.
Ho voluto portare alla luce alcune difficoltà che incontrano le donne nel mondo del lavoro, quelle piccole battaglie quotidiane per avere rispetto e fiducia.
Mi piacerebbe che la lettura di questo romanzo riuscisse ad aiutare tutte quelle donne che devono affrontare queste battaglie ogni giorno, aiutandole a prendere coscienza del loro enorme potenziale e a combattere per una vera uguaglianza in tutti gli ambiti della loro vita.
- Nei tuoi personaggi c'è qualcuno che caratterialmente o fisicamente ti può rappresentare?
Laura, la protagonista, ha alcuni tratti simili a me, ma in lei ho messo anche caratteristiche di altri expat che ho conosciuto durante i miei spostamenti, quindi non posso dire che mi rispecchi completamente.
Il personaggio che vorrei essere è Nicholas; lui ha avuto un’infanzia difficile ma ha saputo superare quei momenti e da adulto vive in pace con se stesso ed è contento della sua vita.
Ecco, un po’ lo invidio perché io non sono capace di prendere le cose che mi capitano alla leggera e, di conseguenza, non riesco a vivere in pace con me stessa.
- Come mai la scelta di luoghi come Hong Kong e Copenaghen?
L’ho ambientato nei posti dove sono stata e che conosco per poterli descrivere al meglio. Solitamente le mie storie raccontano sempre posti, eventi o situazioni che ho visto, studiato o sperimentato.
- Qual è il messaggio che vuoi lasciare ai lettori con Io ti vedo?
Una delle frasi del libro dice:
Tutto questo male, tutta questa solitudine, si potrebbe sconfiggere se solo ognuno di noi la guardasse dritta negli occhi e dicesse: «Io ti vedo». Allora nel mondo saremmo meno soli.
Viviamo in un’epoca in cui spesso diamo per scontato che a vincere non sarà il giusto ma il più forte, che in ogni ambiente ci sia corruzione, che per poter ottenere qualcosa sia necessario un favore in cambio. Molte volte mi sembra di vivere in un mare di squali e mi chiedo perché debba essere così.
Il messaggio che spero di riuscire a trasmettere è questo: bisogna far caso a tutte le ingiustizie che accadono ogni giorni, piccole o grandi che siano e agire invece di voltarsi dall’altra parte; bisogna osservare con più attenzione le persone che incontriamo e cercare di capire come si sentono realmente senza fermarci all’apparenza.
All’inizio forse pagheremo care le nostre azioni e ci faremo male, ma a lungo andare, se siamo in tanti, riusciremo a cambiare le cose.
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